30 ago 2010

Giuseppe Ungaretti

Ungaretti

Da "L'allegria"

Agonia

Morire come le allodole assetate
sul miraggio

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato





Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita





Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità








San Martino del Carso
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro


Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato.





Allegria di naufragi
Versa il 14 febbraio 1917

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare





Mattina
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

M'illumino
d'immenso.




- Me ilumino de inmensidad -



Soldati
Bosco di Courton luglio 1918

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.



La madre
1930

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.



Dove la luce
1930

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.

L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
sarà nostro lenzuolo



Sentimento del tempo
1931

E per la luce giusta,
cadendo solo un'ombra viola
sopra il giogo meno alto,
la lontananza aperta alla misura,
ogni mio palpito, come usa il cuore,
ma ora l'ascolto,
t'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
le tue labbra ultime.



Da "Il dolore"
Giorno per giorno
1940-1946

4
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...

7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...


8
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto

- te amo, te amo, te amo, y es una contínua maravilla -

(schianto puede traducirse por rotura, estruendo, choque la expresión é uno schianto, significa: es una maravilla)


9
Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più distinta
quella voce d'anima
che non seppi difendere quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
Nel suo segreto semplice...


13
Non più furori reca a me l'estate,
né primavera i suoi presentimenti;
puoi declinare, autunno,
con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
distende la stagione più clemente!...


***








Giuseppe Ungaretti


Da "L'allegria"

Agonia

Morire come le allodole assetate
sul miraggio

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato






Veglia
Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita





Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli








Allegria di naufragi
Versa il 14 febbraio 1917

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare









Soldati
Bosco di Courton luglio 1918

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie.



La madre
1930

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia.
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.



Dove la luce
1930

Come allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati,
Le braccia ti sanno leggera, vieni.
Ci scorderemo di quaggiù,
E del mare e del cielo,
E del mio sangue rapido alla guerra,
Di passi d'ombre memori
Entro rossori di mattine nuove.

Dove non muove foglia più la luce,
Sogni e crucci passati ad altre rive,
Dov'è posata sera,
Vieni ti porterò
Alle colline d'oro.

L'ora costante, liberi d'età,
Nel suo perduto nimbo
Sarà nostro lenzuolo



Sentimento del tempo
1931

E per la luce giusta,
Cadendo solo un'ombra viola
Sopra il giogo meno alto,
La lontananza aperta alla misura,
Ogni mio palpito, come usa il cuore,
Ma ora l'ascolto,
T'affretta, tempo, a pormi sulle labbra
Le tue labbra ultime.



Da "Il dolore"
Giorno per giorno
1940-1946

4
Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più...

7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null'altro vedano
Quando anch'essi vorrà chiudere Iddio...

8
E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto

9
Inferocita terra, immane mare
Mi separa dal luogo della tomba
Dove ora si disperde
Il martoriato corpo...
Non conta... Ascolto sempre più distinta
Quella voce d'anima
Che non seppi difendere quaggiù...
M'isola, sempre più festosa e amica
Di minuto in minuto,
Nel suo segreto semplice...

13
Non più furori reca a me l'estate,
Né primavera i suoi presentimenti;
Puoi declinare, autunno,
Con le tue stolte glorie:
Per uno spoglio desiderio, inverno
Distende la stagione più clemente!...








(Poesía traducida al español)



Reseña biográfica

Poeta y traductor italiano nacido en Alejandría, Egipto, en 1888.

Pasó su infancia y adolescencia en Alejandría mientras su padre trabajaba en la construcción del Canal de Suez. Publicó sus primeros poemas bajo los títulos "El puerto sepultado" 1916 y "La alegría" 1919.
A partir de 1921 trabajó como periodista en Roma, publicó su obra más conocida "Sentimiento del tiempo" en 1933, y luego, en 1936, se radicó en Brasil oficiando como profesor universitario.
Regresó a Roma en 1942, enseñó literatura moderna, publicó "El dolor" en 1947 y la compilación de su labor poética entre 1942 y 1961, bajo el título "La vida de un hombre".
En los últimos años de su vida tradujo al italiano obras de importantes autores.
Falleció en Milán en junio de 1970. ©






Poemas de Giuseppe Ungaretti:



A la salida

Atardecer

Cielo despejado

Condena

Distante

El ángel del pobre

Juno

La madre

La muerte meditada

La piedad

Los recuerdos

No gritéis más

No llores más

Nostalgia

Placer

Quietud

San Martín del Carso

Soldados

Tierra

Vagabundo

Vigilia













A la salida

Quién viniera conmigo a través de los campos

El sol se esparce en diamantinas
gotas de agua
sobre la frágil hierba

Me recuesto con
el placer
del apacible corazón del universo

Las montañas crecen
en corrientes de sombra lila
y se perfilan contra el cielo

En la luminosa cúpula arriba
el hechizo se ha roto

Y yo retorno hacia mí
y anidado me escondo dentro de mí mismo
Versa, 27 Abril 1916

Versión de Rafael Díaz Borbón





Atardecer

Versa, 20 de mayo de 1916

La ruborosa cara del cielo
despierta el oasis
para el nómada amor.

Versión de Rafael Díaz Borbón





Cielo despejado

Bois de Courton, Julio 1918

Después de la creciente
niebla
una
por una
las estrellas
se quitan el velo

Respiro
el aire fresco
que el color del cielo
me ofrece

Sé soy
una pasajera
imagen

atrapada en un círculo
inmortal

Versión de Rafael Díaz Borbón





Condena

Como la áspera piedra del volcán,
como la piedra pulida del torrente,
como la noche sola y desnuda,
alma como honda y con terrores
¿Por qué no te recoge
la mano firme del Señor?

Esta alma
que sabe las vanidades del corazón
y sabe pérfidas sus tentaciones,
y del mundo conoce la medida,
y los planes de nuestra mente
considera minucias,
¿por qué no puede soportar
más que arrebatos terrenos?

Tú no me miras ya, Señor...
Y no busco sino olvido
en la ceguedad de la carne.

Versión de Jesús López Pacheco








Distante

Versa, 15 Febrero 1917

Distante en una tierra distante
como a un hombre ciego
ellos me han abandonado

Versión de Rafael Díaz Borbón







El ángel del pobre



Ahora que invade las nubladas mentes
más áspera piedad de la sangre y la tierra,
ahora que nos mide a cada pálpito
el silencio de tanta injusta muerte,

ahora que despierta el ángel del pobre,
gentileza del alma, pervivida...

Con el gesto inextinguible de los siglos
baje a la cabecera de su viejo pueblo
en medio de las sombras...



Versión de Jesús López Pacheco





Juno

1931

Alrededor de esa perfecta madurez que me atormenta,
Un muslo levantándose por sobre otro...

Esparce tu furia a través de una acerba noche!



Versión de Rafael Díaz Borbón





La madre


Y cuando el corazón de un último latido
haya hecho caer el muro de sombra,
para conducirme, madre, hasta el Señor,
como una vez me darás la mano.

De rodillas, decidida,
serás una estatua delante del Eterno,
como ya te veía
cuando estabas todavía en la vida.

Alzarás temblorosa los viejos brazos,
como cuando expiraste
diciendo: Dios mío, heme aquí.

Y sólo cuando me haya perdonado
te entrarán deseos de mirarme.

Recordarás haberme esperado tanto
y tendrás en los ojos un rápido suspiro.



Versión de Jesús López Pacheco




La muerte meditada

Canto quinto

Has cerrado los ojos,
nace una noche
llena de falsos huecos,
de ruidos muertos
como de corchos
de redes caladas en el agua.

Tus manos se hacen como un soplo
de inviolables lontananzas,
inaferrables como las ideas,

y el equívoco de la luna
y el balancearse, dulcísimos,
si quieres posármelas sobre los ojos,
tocan el alma.

Eres la mujer que pasa
como una hoja
y dejas en los árboles un fuego de otoño.

Versión de Jesús López Pacheco





La piedad

1
Soy un hombre herido.
Y yo quisiera irme
y llegar finalmente,
piedad, a donde se escucha
al hombre que está sólo consigo.

No tengo más que soberbia y bondad.

Y me siento exilado en medio de los hombres.

Mas por ellos estoy en pena.

¿No sería digno de volver a mí?

He poblado de nombres el silencio.

¿He hecho pedazos corazón y mente
para caer en servidumbre de palabras?
Reino sobre fantasmas.

Hojas secas,
alma llevada aquí y allá...,

No, odio el viento y su voz
de bestia inmemorable.

Dios, ¿aquéllos que te imploran
no te conocen más que de nombre?

Me has arrojado de la vida:
¿me arrojarás de la muerte?

Quizá el hombre también es indigno de esperanza.

¿Hasta la fuente del remordimiento está seca?

El pecado, qué importa
si ya no conduce a la pureza.

La carne apenas recuerda
que tuvo fuerza una vez.

Loca y gastada está el alma.

Dios mira nuestra debilidad.

Queremos una certeza.

¿Ya ni siquiera te ríes de nosotros?

Compadécenos entonces, crueldad.

No puedo seguir amurallado
en el deseo sin amor .

Muéstranos una huella de justicia.

Tu ley, ¿cuál es?

Fulmina mis pobres emociones,
libérame de la inquietud.
Estoy cansado de gritar sin voz.




2
Carne melancólica
donde una vez pululó la alegría,
ojos entreabiertos del despertar cansado,
¿ves tú, alma demasiado madura,
lo que seré caído en la tierra?

Está en los vivos el camino de los difuntos,

nosotros somos una riada de sombras,

y ellas el grano que explota en el sueño,

de ellas es la lejanía que nos queda
y de ellas la sombra que da peso a los nombres.

La esperanza de una gran sombra
¿sólo es esto nuestra suerte?

¿Y no serías tú más que un sueño, Dios?

Temerarios, por lo menos un sueño
queremos que sea semejante a ti.

Es parto de la locura más clara.

No tiembla en nubes de ramas
como pájaros de la madrugada
al borde de los párpados.

En nosotros está y languidece, llaga misteriosa


3
La luz que nos aguija
es un hilo cada vez más sutil.
¿Sólo deslumbras matando?
Dame esta alegría suprema.


4
El hombre, monótono universo,
cree acrecentar sus bienes,
y de sus manos febriles
no salen, sin fin, más que límites.

Pegado al vacío,
a su hilo de araña,

no teme ni seduce
más que a su propio grito.

Evita el desgaste haciendo tumbas,
y para pensarte, Eterno,
no tiene más que blasfemias.

Versión de Jesús López Pacheco





Los recuerdos

Los recuerdos, inútil infinito,
pero solos y unidos contra el mar, intacto,
en medio de estertores infinitos...

El mar,
voz de una libre grandeza
pero inocencia enemiga en los recuerdos,
tan rápido en borrar las huellas dulces
de un pensamiento fiel...

El mar, sus blanduras indolentes
tan feroces y esperadas tanto, tanto,
y en su agonía,
presente siempre, renovada siempre,
en el despierto pensamiento, la agonía.

Los recuerdos,
el revolverse vano
de arena que se mueve
sin pesar sobre la arena,

ecos breves y lentos,
sin voz, ecos de los adioses
a minutos que parecían felices...

Versión de Jesús López Pacheco





No gritéis más

Dejad de matar a los muertos,
no gritéis más, no gritéis,
si les queréis todavía oír
si esperáis no perecer.

Tienen un susurro imperceptible,
no hacen más rumor
que el crecer de 1a hierba,
alegre donde no pasa el hombre.

Versión de Jesús López Pacheco





No llores más

Para de matar a los muertos,
No llores más, no llores más
Si deseas aún escucharlos,
Si esperas no perecer.
Su susurro es imperceptible,
Ellos no hacen más ruido
Que el crecimiento de la hierba,
Felices donde el hombre no transita.

Versión de Rafael Díaz Borbón





Nostalgia

Locvizza, 28 Septiembre 1916

Cuando
la noche está por pasar
un poco antes de empezar la primavera
y la gente
comience a transitar

Un sombrío color
de llanto
se espesa sobre París

En la esquina
del puente
contemplo
el inabarcable silencio
de una pobre niña

Nuestras dos
enfermedades
van juntas

Y si arrastradas a otro lugar
allá estaríamos juntos

Versión de Rafael Díaz Borbón





Placer
Versa, 18 Febrero 1917

Ardo con la
fiebre
de este torrente de luz

Doy la bienvenida a este
día como
a dulcificante fruta

Esta noche
sentiré
remordimiento como un
alarido
perdido en el
desierto

Versión de Rafael Díaz Borbón





Quietud
1931

Las uvas maduras, el campo arado,

La colina se recorta en las nubes.

En los espejos polvorientos del verano
la sombra ha caído,

Entre los dedos inciertos
Su destello es claro,
Y distante,

Con las golondrinas vuela
la última angustia.

Versión de Rafael Díaz Borbón







San Martín del Carso

(Valloncello dell' Albero Isolato a 27 agosto de 1916)

De estas casas
no ha quedado
más que algún
pedazo de muro

De tantos
a quienes estaba unido
no ha quedado
ni siquiera eso

Pero en el corazón
ninguna cruz falta

Mi corazón
es el país más desvastado.


Versión de Raúl Zurita





Soldados

Se está como
en otoño
sobre los árboles
las hojas.

Versión de Jesús López Pacheco





Tierra

Podría haber en la guadaña
un rápido reflejo, y el rumor
tornar y perderse por grados
hacia las grutas, y el viento podría
de otra sal enrojecer los ojos...

Podrías, la quilla sumergida,
oírla deslizarse a lo lejos,
o a una gaviota equivocar su pico,
la presa huída, en el espejo...

Del trigo de noches y días
colmadas mostraste las manos,
delfines de los viejos tirrenos
viste pintados en secretos
muros inmateriales y, luego, detrás
de las naves, vivos volar,
y tierra eres aún de cenizas
de inventores sin descanso.

Cauto temblor podría otra vez a adormecedoras
mariposas en los olivos, de un instante a otro,
despertar;
quedarás inspiradas vigilias de extintos,
intervenciones insomnes de ausentes,
la fuerza de cenizas, sombras
en el raudo oscilar de las platas.

Continúas derribando al viento ;
desde abetos a palmeras el estrépito
por siempre desolas; silente
el grito de los muertos es más fuerte.

Versión de Jesús López Pacheco





Vagabundo


En ninguna
parte
de la tierra
me puedo
arraigar

A cada
nuevo
clima
que encuentro
descubro
desfalleciente
que
una vez
ya le estuve
habituado

Y me separo siempre
extranjero

Naciendo
tornado de épocas demasiado
vividas

Gozar un solo
minuto de vida
inicial

Busco un
país inocente


Vigilia

Una entera velada
tendido al costado
de un compañero
masacrado
con su boca
desencajada
vuelta al plenilunio
con la congestión
de sus manos
penetrada
en mi silencio
he escrito
cartas llenas de amor.

No me he sentido nunca
tan
aferrado a la vida.